Il Trattato di Dublino, ipotesi di riforma

 

di Ilaria Li Vigni

 

In questi anni, migliaia di storie di migranti ci parlano del fallimento del Trattato di Dublino sul diritto d’asilo europeo, nato, nel 1990, per stabilire quale degli Stati dell’Unione fosse responsabile dell’esame della richiesta di asilo (in genere, il paese di primo ingresso nel territorio dell’Unione).

Un sistema pensato e applicato non in modo corretto che ha creato enorme pressione sui paesi di frontiera come Italia e Grecia, senza garantire reale solidarietà e cooperazione tra gli stati membri.

In base al regolamento di Dublino, nel 2017, 3.129 richiedenti asilo sono stati trasferiti in Italia da altri paesi europei perché è stato stabilito che l’Italia era il paese di primo ingresso nell’Unione Europea.

Sempre nel 2017, per la medesima ragione, sono state trasferite 115 persone dal nostro Paese in altri stati europei.

Evidente la contraddizione che emerge da questi numeri.

Numeri certamente destinati ad aumentare nei prossimi mesi in quanto l’agenda europea sulle migrazioni ha imposto che, nei paesi di arrivo dei migranti, siano creati dei cosiddetti hotspot, cioè strutture dove i migranti sono identificati e foto segnalati all’arrivo.

Nel 2017, la procedura ha riguardato il 99 per cento dei migranti giunti in Italia, ma molti di loro hanno continuato a sottrarsi al sistema di accoglienza istituzionale, raggiungendo autonomamente altri paesi d’Europa, rischiando di essere rimandati indietro, proprio in base alle regole comuni sull’asilo.

Nell’ultimo anno, il regolamento di Dublino è tornato al centro di accese discussioni tra Commissione europea, Stati dell’Unione e Parlamento Europeo, con la proposta di una riforma capillare.

La Commissione, che, in un primo momento aveva suggerito due opzioni, tra cui la creazione di un nuovo sistema di ripartizione delle domande di asilo, ha, successivamente, ripiegato su un meccanismo correttivo del sistema attuale, presentando una proposta di riforma poi passata all’esame del Parlamento Europeo.

L’eurodeputata svedese Cecilia Wikström, del gruppo Alde (Alleanza dei democratici e liberali per l’Europa), nominata dal Parlamento relatrice per la riforma, ha lavorato per mesi alla revisione che è stata presentata alla commissione parlamentare per libertà civili, giustizia e affari interni.

Tre i principali obiettivi della riforma del regolamento di Dublino presentata dalla Commissione.

Il primo, semplificare o rendere meno flessibile, l’individuazione dello Stato responsabile dell’esame di una richiesta di asilo, riducendo, quindi, le possibilità che questa responsabilità passi da uno Stato all’altro.

Il secondo, stabilire un meccanismo correttivo di ridistribuzione dei richiedenti asilo (divisi in quote calcolate sulla base della popolazione e del pil dei vari Stati membri) solo quando la capacità di accoglienza dello Stato abbia superato la soglia del 150 per cento.

Il terzo, scoraggiare, attraverso applicazione di sanzioni, i cosiddetti movimenti secondari dei richiedenti asilo che provano a raggiungere un paese diverso da quello in cui sono tenuti a presentare la loro domanda.

Tra le altre novità proposte dalla Commissione si ha il controllo di ammissibilità delle domande di asilo, che, nel caso, spetterebbe al primo paese d’ingresso in Europa.

Se il richiedente proviene da un paese terzo, considerato sicuro dall’Unione europea (ad esempio, un profugo siriano proveniente dalla Turchia, indicata quale paese sicuro), dovrà essere adottata la procedura di asilo accelerata.

Sono previste, inoltre, limitazione del diritto a presentare ricorso per i richiedenti asilo, possibilità per gli stati dell’Unione di non partecipare al sistema correttivo di ridistribuzione (versando 250mila euro per ogni richiedente asilo che rifiutano di accogliere) e, tra i pochi punti positivi, estensione della definizione di parente anche a fratelli e sorelle del richiedente asilo.

La proposta della Commissione ha scatenato numerose critiche da parte di giuristi e organizzazioni di difesa dei diritti di migranti e rifugiati.

A ottobre 2017, l’European Council for refugees and exiles (Ecre), che riunisce 90 organizzazioni presenti in 38 paesi europei, ha pubblicato un esame dettagliato della riforma, definendola inconcludente ed irragionevole con l’esortazione al Parlamento Europeo a emendarla per renderla più giusta e rispettosa dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo.

Si attendono quindi gli emendamenti.

A oggi, in Italia ed in Europa, la confusione regna sovrana sia dal punto di vista normativo che giuridico.

Ciò non può che destare preoccupazione, considerata l’attualità e la dimensione del problema.