Datacrazia

 

di Paolo Pivetti

 

Mentre stanno per arrivare nuove disposizioni sulla privacy che ci obbligheranno a nuove raccolte di dati, ecco profilarsi sempre più consistente l’incubo della datacrazia. Ed eccoci, con questo neologismo del mondo che corre, di nuovo all’incrocio tra inglese, latino e greco: datacrazìa. È anche questa apparentemente strana parola il frutto di un intrico inestricabile tra le due lingue classiche da cui proviene la nostra cultura, cioè greco e latino, e la “lingua comune” della cultura dell’oggi: l’inglese.

Nei tempi antichi, sin dal IV secolo avanti Cristo, c’era già la presenza di una “lingua comune”; ed era appunto il greco, parlato dalle classi dotte in tutto il bacino del Mediterraneo centro occidentale, dunque anche nel mondo latino. Questa lingua universale era chiamata koinè, che in greco significa “comune”. La koinè di oggi è l’inglese.

Intendiamoci sul nostro neologismo datacraziadata sono in inglese i dati, cioè il volume di informazioni che le nuove tecnologie digitali mettono a nostra disposizione, in realtà sommergendo la nostra vita. Facile capire che in origine è una parola latina. Data infatti è, in latino, la forma neutra plurale del participio passato del verbo dare: “le cose date”, e anche nella nostra lingua noi abbiamo “i dati”, con la stessa origine e un analogo significato. Gli Inglesi, dunque, come noi, si sono rifatti alla lingua dei nostri avi latini, che il loro mondo intellettuale, sin dalla tradizione rinascimentale, conosceva e conosce. Quanto alla terminazione -crazìa siamo in piena discendenza greca. Kràtos nell’antico greco è “forza” o se vogliamo anche “potere”; e questa componente entra in tante parole che riguardano la vita sociale: demo-crazia, cioè “potere del popolo”, aristo-crazia cioè alla lettera “potere dei migliori”, come si autodefinivano i nobili; mono-crazia, potere di uno solo, dunque dittatura eccetera. Ecco l’affascinante garbuglio linguistico che sta alla base di datacrazìa.

Tornando all’inizio del nostro discorso, nel mondo della comunicazione digitale ormai si parla correntemente non solo di data ma anche di big data, e qui abbiamo una curiosa formulazione anglo-latina, con l’aggettivo inglese big, cioè grande, anteposto al latino data. Sono i “grandi dati” (ma in italiano suona meno “importante”) che vengono prodotti dalle nuove tecnologie: una mole immensa d’informazioni su tutti gli aspetti della vita sociale, che già di per sé può determinare degli indirizzi e delle svolte. E ciò sta allarmando il mondo, a partire degli scienziati, perché c’è chi teme che possano essere questi esiti delle nuove tecnologie, prima ancora della volontà umana, a determinare in futuro le decisioni politiche: insomma si teme che nel nostro sistema di vita la data-crazia possa sostituire e sopprimere la demo-crazia.