Caso Sea Watch 3, semplici spunti di riflessione

di Ilaria Li Vigni

 

Ecco qualche spunto di riflessione relativo all’ordinanza, emessa, in data 3 luglio, dal Giudice per le indagini preliminari di Agrigento nella fase cautelare del procedimento penale nei confronti di Carola Rackete, comandante della motonave Sea Watch 3, indagata per i reati di resistenza o violenza contro nave da guerra (art. 1100 cod. nav.) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.).

Ciò in relazione alle condotte, tenute nella notte del 29 giugno scorso, durante l’ingresso nel porto di Lampedusa con a bordo i naufraghi tratti in salvo durante l’operazione di soccorso del 12 giugno al largo delle coste libiche.

Ecco il percorso logico argomentativo del Giudice.

Il Giudice per le indagini preliminari ha escluso la rilevanza penale delle condotte dell’indagata ed ha rigettato sia la richiesta di convalida del provvedimento di arresto eseguito dalla Guardia di Finanza di Lampedusa, sia la richiesta del Pubblico Ministero di applicazione della misura cautelare del divieto di dimora in provincia di Agrigento.

Con riferimento al reato di cui all’art. 1100 cod. nav., l’ordinanza ha fatto propria l’interpretazione della Corte Costituzionale (sentenza n. 35 del 2000), secondo la quale le unità navali della Guardia di Finanza sono considerate “navi da guerra” soltanto «quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia un’autorità consolare»

Tutte queste circostanze non apparivano sussistenti nel caso di specie, poiché la nave della Guardia di Finanza stava operando in acque territoriali.

Quanto al reato di cui all’art. 337 c.p., il Giudice ha ravvisato gli estremi della causa di giustificazione dell’adempimento del dovere di soccorso di naufraghi (art.51 c.p.), facendo riferimento alle fonti di diritto nazionale ed internazionale che riguardano non soltanto la fase della presa a bordo dei naufraghi, ma anche quella successiva della loro conduzione fino ad un porto sicuro.

Sotto questo profilo, l’ordinanza ha precisato che gli obblighi gravanti sul capitano non possono venire meno nè per effetto delle direttive ministeriali in materia di “porti chiusi”, nè in conseguenza del divieto di ingresso adottato il 15 giugno nei confronti della Sea Watch 3, ai sensi del c.d. decreto sicurezza-bis, trattandosi in entrambi i casi di atti destinati a retrocedere, secondo il criterio gerarchico, di fronte alla contrarietà delle fonti ordinarie e sovranazionali regolanti la materia.

La decisione presenta una motivazione ricca e articolata, meritevole senz’altro di approfondimenti, sia per quanto concerne i riferimenti al diritto interno, sia per quanto riguarda quelli relativi al diritto internazionale.

Senza entrare in complessi dettagli tecnici, appaiono degni di nota gli espressi richiami alle recenti raccomandazioni del commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, che ricostruiscono il quadro degli obblighi relativi al soccorso in mare ed alla successiva tutela delle persone tratte in salvo. Inoltre, molto interessante il riferimento alla sentenza del Tribunale di Trapani nel caso Vos Thalassa, che ha riconosciuto la legittima difesa in capo ai migranti che si erano ribellati a fronte del pericolo attuale di essere ricondotti in Libia.

La pronuncia del Giudice di Agrigento aggiunge così nuovi elementi al sempre più fitto reticolo di interventi giurisdizionali che, sul tema della c.d. “crisi migratoria” e dei soccorsi in mare, stanno progressivamente riportando in primo piano i principi dello stato di diritto e, soprattutto, il primato dei diritti fondamentali rispetto alle (pur legittime, ma evidentemente di rango inferiore) esigenze di controllo dei confini territoriali.

Vedremo, su queste basi, come si muoverà il legislatore e come interverranno i giudici in futuro, in merito ad un delicatissimo problema di grande attualità nei nostri giorni.