Il divorzio in Italia a distanza di cinquant’anni dall’approvazione della legge

Per quanto siano forti i sentimenti che uniscono un uomo e una donna, essi possono anche
mutare”, disse Nilde Iotti prendendo la parola in Parlamento prima dell’approvazione della legge.
Mezzo secolo di vita del divorzio in Italia.
Cinquant’anni da quel primo dicembre 1970 quando il Parlamento diede il via libera alla “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, la legge 898, mettendo così fine ad un tabù della società italiana dove sposarsi era una scelta a vita.
La legge sul divorzio altro non è che il primo passo verso una stagione prolifica di norme che ha scardinato obsoleti privilegi patriarcali e ha permesso l’accesso a nuovi diritti civili.
Questa normativa ha aperto una grande stagione di conquista di diritti civili e non solo.
Nel 1975 il nuovo diritto di famiglia, cade la patria potestà, passa la parità dei coniugi nella coppia e soprattutto cade la discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio.
E poi, nel 1978, la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza e, sempre nello stesso anno, l’istituzione del Servizio Sanitario nazionale basato sul circuito prevenzione, cura, riabilitazione, balzo in avanti per il diritto alla salute.
Gli anni ’70 sono stati una stagione effervescente nell’avanzamento dei diritti.
Una rivoluzione che non poteva più attendere si è sviluppata anno dopo anno.
Una modernizzazione culturale del Paese che ha permesso l’avanzamento della democrazia perché quando crescono i diritti, avanzano tutti, donne, figli, gli stessi uomini.
Avanza la libertà di scegliere la propria vita, il proprio destino salvaguardando il coniuge più vulnerabile e i figli.
La legge sul divorzio è, senza dubbio, considerata un importante punto di svolta nella storia italiana moderna.
Il lungo iter parlamentare inizia quando il deputato socialista Loris Fortuna presenta, nell’ottobre 1965, un progetto di legge sui “Casi di scioglimento del matrimonio”, precisando che l’Italia era l’unico paese fra quelli del Mercato comune europeo e, fra i pochi al mondo, a non riconoscere legalmente il divorzio.
Come era avvenuto in assemblea costituente, anche in commissione giustizia si ripresenta lo scontro sul principio di indissolubilità del matrimonio fra schieramento laico, che appoggia il progetto Fortuna, e quello cattolico che ne denuncia il “contenuto rivoluzionario”.
Il 7 ottobre 1968 il liberale Baslini presenta un nuovo progetto di legge sul divorzio, più moderato rispetto alla proposta Fortuna.
La Legge Fortuna ottiene alla Camera, nella prima votazione del novembre 1969 a scrutinio segreto, 325 voti favorevoli e 283 contrari.
La discussione passa, poi, in Senato che, in data 9 ottobre 1970, vota un testo emendato con elementi della Baslini, approvandolo con 164 voti favorevoli e 150 contrari.
Il testo emendato ritorna alla Camera che, nella seduta più lunga nella storia del Parlamento, dal 24 novembre al 1 dicembre 1970, approva, in via definitiva, la legge Fortuna-Baslini (319 sì e 286 no) a cinque anni dalla sua prima proposizione e dopo un iter parlamentare difficile e conflittuale.
Intanto, il 31 agosto 1968, il governo Leone si fa promotore di un disegno di legge che, sulla base dell’art. 75 della Costituzione, consente di indire referendum abrogativi totali o parziali rispetto ad una legge dello Stato. La proposta diviene legge il 25 maggio del 1970 e già il 2 dicembre, il quotidiano Avvenire lancia un appello per indire, immediatamente, il referendum per abrogare la legge approvata.
Vengono raccolte un milione e mezzo di firme, due volte tanto le necessarie, quantità che convince i proponenti della diffusione della cultura cattolica e del sicuro esito referendario.
Sorprendente, invece, il risultato del voto che, il 12 maggio 1974, vede la percentuale dei favorevoli al divorzio quasi al 60% e dei contrari al 40% nel primo storico referendum dell’Italia repubblicana.
In quattro anni si materializza il primo grande scollamento tra valori religiosi e società italiana.
In un successivo referendum, riproposto nel 1981, la maggioranza fu ancora più schiacciante, in quanto il 70% della popolazione si dichiara favorevole al divorzio.
A distanza di 50 anni fino al 2019, il numero dei divorzi in Italia è stato 1.463.973.
Numero in costante crescita, specie dal 2015, quando è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge 6 maggio 2015, n. 55, c.d. legge sul divorzio breve, che riduce i tempi per la domanda da tre anni a dodici mesi, in caso di separazione giudiziale e a sei mesi nella separazione consensuale.
L’introduzione del “divorzio breve” fa registrare un consistente aumento del numero di divorzi, che, solo nel 2015, arrivano a 82.469 (+57% in più sul 2014) e a 88.458 nel 2018.
A seguito invece dell’introduzione della normativa sugli accordi stragiudiziali in tema di separazione e divorzio, sono stati definiti presso gli uffici di stato civile 27.040 divorzi (pari al 32,8% dei divorzi del 2015) e 17.668 separazioni (19,3% delle separazioni).
Secondo i dati Istat, nel 2019, in Italia hanno richiesto il divorzio 681 mila uomini e 990 mila donne, notevole incremento rispetto al 2011 che vedeva 524 mila uomini e 839 mila donne.
Le battaglie per i diritti civili, suffragate dal consenso popolare, hanno prodotto un istituto fondamentale nel nostro ordinamento giuridico, base e fondamento della libertà di autodeterminazione personale che è espressamente sancita dalla Costituzione.