Francesca Arena, la prima donna farista

Era il 30 marzo 1930 quando, negli uffici della Regia Marina, venne firmato un provvedimento che avrebbe segnato un piccolo ma importante passo nella storia italiana: Francesca Arena, nata a Messina nel 1900, diventava ufficialmente guardiana di faro.
Francesca nel 1920 aveva sposato il cugino Nicolò Arena seguendolo in tutte le località in
cui il marito prestò servizio come farista. Alla morte del marito a fine 1929 Francesca si ritrovò da sola con il carico di sei bambini piccoli da sfamare, prese pertanto la decisione di scrivere al capo del governo Benito Mussolini per ottenere il subentro nel posto che era stato del marito. Esaminata la petizione, la richiesta fu accolta e Francesca Arena fu ammessa in servizio il 30 marzo 1930. La sua prima destinazione fu Favignana, la più grande delle isole Egadi, in provincia di Trapani. Un luogo di vento e scogli, crocevia di rotte marittime tra la Sicilia e l’Africa settentrionale. Qui, nel silenzio interrotto soltanto dal rumore delle onde e dal canto dei gabbiani, Francesca iniziò il suo servizio.
È importante notare che altre donne in Italia sono state celebrate come prime guardiane del faro in base a diverse fonti e storie locali, Tuttavia, la data di nomina di Francesca Arena del 1930 la colloca come la prima donna ufficialmente riconosciuta in questo ruolo in Italia e a rompere per prima il silenzioso muro di un mestiere esclusivamente maschile.

In quegli anni il mestiere di farista era considerato molto duro e quasi proibitivo per una donna. Bisognava affrontare la solitudine, il mare in tempesta, i lunghi turni senza distrazioni, con l’immensa responsabilità di tenere acceso un faro che poteva significare salvezza o tragedia per chi era in mare. Francesca Arena però, non si lasciò scoraggiare; con determinazione e professionalità dimostrò che anche una donna poteva svolgere con successo un compito tanto faticoso e e aggravato dalla gestione dei numerosi figli.
Della sua carriera successiva sappiamo che ebbe altre destinazioni, sempre tra i fari siciliani (fanale di Gela nel 1931, faro di Capo Rossello nel 1937, faro di Marina di Ragusa nel 1939, faro di Capo Scalambri 1946, fanale di Marzamemi 1949 per poi Marifari di Messina nel 1957) ma rimane il dato più importante: la sua nomina del 1930, registrata negli archivi della Marina Militare, che la consacra come prima donna farista d’Italia.
L’idea di una donna che svolgeva un ruolo così isolato e fisicamente impegnativo era spesso accolta con scetticismo e meraviglia. Nel contesto sociale e lavorativo dell’epoca, la figura del guardiano del faro era saldamente associata a un’identità maschile, e la scelta di una donna di intraprendere questa strada veniva vista come una “sfida”. La storia di Francesca Arena come prima guardiana del faro è quindi anche storia di emancipazione e di rottura di schemi, in cui il coraggio e la competenza hanno avuto la meglio sul pregiudizio.
Il mestiere di guardiano del faro è da sempre avvolto in un’aura di mistero e fascino, alimentato da una ricca tradizione letteraria e cinematografica che lo dipinge come una fuga idilliaca dalla modernità. Numerosi racconti e opere d’arte e le fotografie che immortalano l’alba e il crepuscolo sul mare, hanno contribuito a creare un’immagine di “incantesimo”. Questa visione, tuttavia, contrasta nettamente con la cruda, faticosa e meticolosa realtà quotidiana che ha contraddistinto tale professione negli anni addietro. La vita di Francesca Arena, come guardiano del faro, era infatti un ciclo incessante di doveri che non lasciava spazio al romanticismo. I turni, detti “quarti”, erano organizzati 24 ore su 24 e il lavoro non conosceva interruzioni. Il compito principale, e più noto, era la sorveglianza e l’accensione della luce, un’operazione pianificata al minuto. Durante il quarto di notte, che poteva durare fino a 10 ore, Francesca doveva vegliare sul corretto funzionamento della lanterna, monitorare l’orizzonte marino in cerca di navigli in difficoltà e assicurarsi che i fari vicini funzionassero. La manutenzione era un capitolo a sé stante, e rappresentava la parte più prosaica e fisicamente impegnativa del lavoro. I guardiani dovevano essere in grado di “riparare pressappoco tutto sul faro”. Questo includeva la pulizia quotidiana e accuratissima dell’ottica, dei vetri della lanterna e degli ottoni, ma anche interventi di manutenzione strutturali pesanti come l’onnipresente tinteggiatura. A tutto questo Francesca Arena doveva aggiungere, da sola, l’enorme attività connessa alla gestione della famiglia formata dai suoi sei figli.
La storia di Francesca Arena rappresenta un tipo diverso di emancipazione, non attraverso gesta eroiche, ma attraverso la capacità di sostenere la propria famiglia e la propria dignità in un contesto di difficoltà, sfidando le aspettative sociali in modo silenzioso ma inequivocabile.
Oggi, il nome di Francesca Arena è quasi misconosciuto, spesso oscurato da altre storie raccontate con più enfasi. Eppure la sua vicenda merita di essere ricordata: Francesca Arena è stata una pioniera, una donna che, sola davanti al mare, accese una luce che ancora oggi illumina la memoria del nostro Paese.

Carmelo Giuseppe Tribunale
NB: si ringrazia Giovanni Bonfiglio, luogotenente della Marina Militare presso Ufficio Storico di Marifari Messina, per la documentazione e le notizie fornite.